Tutti abbiamo bisogno di raccontare, ascoltare, vivere, immaginare o inventare storie, che siano storie nostre o degli altri, conosciuti e sconosciuti, che siano già accadute, che stiano per verificarsi o che speriamo possano accadere al più presto, che siano vere o totalmente inventate, che siano a lieto fine o che abbiano un tragico epilogo, sentiamo un bisogno primordiale di “comunicare” storie perché esso rappresenta lo strumento più appropriato che possediamo per cercare di metabolizzare e prendere consapevolezza di tutto quello che ci capita e di cui vogliamo che rimanga sempre una traccia» (Virzì et al, 2017).
Da sempre l’uomo ha sentito il bisogno di raccontare e di raccontarsi, per far sì che il patrimonio personale non andasse perduto ma venisse tramandato nel tempo garantendogli l’immortalità. L’approccio narrativo è utile nella gestione delle demenze perché permette di entrare in relazione con i pazienti attraverso un canale privilegiato, che è appunto quello della narrazione delle loro storie di vita. Quella che ci viene raccontata è la storia come viene sentita e ancora vissuta da chi racconta, come ancora risuona dentro chi narra, sicuramente molto più reale di quella anagrafica, sicuramente obbiettiva ma meno rappresentativa della vita delle persone.
La Terapia della reminiscenza, o Life Review Therapy, teorizzata dal dottor Robert Butler all’inizio degli anni Sessanta, utilizza proprio l’approccio narrativo. Egli ebbe l’intuizione di sfruttare la naturale tendenza degli anziani a ricordare e a voler condividere esperienze del passato; cominciò a considerarla non più come un segnale negativo, indicativo del declino cognitivo, ma come una risorsa di cui avvalersi per migliorare il benessere psicofisico e il tono dell’umore delle persone con demenza, per limitare l’isolamento, per mantenere e rinforzare l’autostima e l’identità personale.

Il ricordo diventa quindi lo strumento principe per gettare un ponte tra passato e presente, al fine di poter interpretare e vivere meglio la realtà quotidiana. Ciò è possibile grazie al fatto che la memoria autobiografica subisce una compromissione importante solo in una fase tardiva della malattia: il recupero dei ricordi è pertanto meno difficile di quanto si pensi e permette di superare le frustrazioni che nascono dall’incapacità d’immagazzinare materiale nuovo.
I pazienti, sebbene all’inizio siano titubanti e scettici, vanno incoraggiati a parlare del loro passato, a ricordare e a riportare a galla esperienze vissute in età infantile, giovanile e adulta. Devono essere spronati anche a ricordare eventi spiacevoli – nei confronti dei quali possono esserci ancora nodi irrisolti – a verbalizzare i loro problemi e ad ascoltare quelli degli altri, in modo da favorire un migliore livello di socializzazione.
La Terapia della Reminiscenza non consiste soltanto nel raccontare storie di vita personali: significa riviverle, ricostruirle, condividerle, comparteciparle emozionandosi e viverle in maniera sensoriale, grazie anche all’adozione di feedback visivi (fotografie, quadri e filmati) o di altro tipo (profumi, sapori, musiche, canti, rumori, oggetti da toccare), chiaramente in sintonia con il periodo in cui hanno vissuto i pazienti.
Questa terapia può essere praticata in diverse forme: può essere orale o scritta, di gruppo o individuale, in maniera strutturata o informale, durante gli incontri giornalieri. È importante che venga utilizzato un linguaggio semplice, dicendo una cosa per volta, in modo da assicurarsi che il paziente abbia ben compreso ciò che gli viene detto. L’attenzione e l’ascolto sono di grande importanza nel lavoro con persone malate di demenza. Quando la persona parla e si racconta è importante che non venga interrotta e che le venga lasciato il tempo necessario per dire le cose a modo suo; frequentemente vengono a crearsi grandi silenzi ed è importante rispettarli per ciò che sono, senza sentire il bisogno di riempirli. Diventa utile e importante, invece, fornire aiuto quando il paziente si trova in difficoltà nell’esprimersi.