FAQ

  1. 1. La demenza è ereditaria?

    La malattia di Alzheimer ed altre forme di demenza possono ripetersi alcune volte nelle storie  delle famiglie e questo crea ansia e timori nelle persone che hanno seguito le peripezie dei loro cari.

    Nel linguaggio normale “ereditario” significa che inevitabilmente anche i discendenti del paziente svilupperanno la stessa malattia, ma questo è vero per le demenze solo in casi eccezionali e molto facilmente riconoscibili. Nel caso delle demenze i fattori genetici in gioco sono moltissimi, in gran parte ancora sconosciuti e profondamente interagenti con fattori ambientali e  fisici.  Si può quindi ereditare una più o meno importante predisposizione (ma  anche una possibile “protezione”) genetica alla malattia, ma non automaticamente la probabilità di ammalarsi.

  2. 2. Si può prevenire?

    I fattori genetici sono probabilmente meno importanti di quelli ambientali e fisici nel determinare la comparsa della malattia di Alzheimer. Molti studi epidemiologici hanno dimostrato che adottare stili di vita “sani” (non fumare, non eccedere negli alcolici, mantenere un peso fisico adeguato soprattutto mediante attività fisica regolare e la cosiddetta dieta mediterranea) fin dalla età media sono importanti nel ridurre la probabilità di sviluppare una malattia di Alzheimer in età avanzata.  A questo scopo è anche importante curare bene malattie frequenti in età medio-avanzata, quali l’ ipertensione arteriosa , il diabete mellito, l’ipercolesterolemia, cardiopatie aritmogene eccetera. Negli ultimi anni si è evidenziata anche l’importanza della cosiddetta “riserva cognitiva” nella prevenzione delle demenze: la scolarizzazione, un lavoro stimolante e gratificante, il mantenimento di rapporti sociali ricchi e variati sono ulteriori mezzi preventivi.

    La nostra Onlus ha pubblicato un libretto dal titolo “E’ possibile evitare l’Alzheimer? e invecchiare serenamente?” a disposizione di tutti coloro che ne faranno richiesta direttamente o tramite posta elettronica.

  3. 3. Come si può curare?

    Purtroppo attualmente né la malattia di Alzheimer né la maggior parte di altre demenze si possono curare nel senso fermare il progressivo decadimento cognitivo, né tanto meno di un ripristino delle precedenti capacità cognitive.  Questa scoraggiante realtà diventa evidente se si considera che le demeze si manifestano quando si raggiunge un punto molto avanzato di degenerazione neuronale, grazie alla grande capacità plastica del cervello.  Quello che attualmente è possibile ottenere dalle terapie a disposizione  è un temporaneo rallentamento del processo involutivo ed eventualmente la riduzione dei fenomeni psichiatrico-comportamentali della malattia,  Nel primo caso sono utili farmaci denominati anticolinesterasici che possono essere utilizzati nei primi anni di malattia, mentre nel secondo caso si possono usare antidepressivi, sedativi  o neurolettici la cui necessità và rivalutata periodicamente.

    Sono in fase di studio molti nuovi farmaci, potenzialmente più efficaci, ma per la loro eventuale applicazione futura (solo nelle fasi più precoci di malattia) occorrerà attendere diversi anni.

  4. 4. Cosa succederà ? Diventerà aggressivo/a?

    La malattia di Alzheimer inizia tipicamente con disturbi della memoria recente, mentre quella remota (risalente anche a moplti decenni prima) è conservata. Ben presto al disturbo della memoria e al disorientamento temporale che ne consegue, si aggiungono difficoltà in altre funzioni cognitive: per esempio difficoltà a trovare i nomi degli oggetti o a completare un discorso o a concentrare la propria attenzione su un compito definito. Spesso i pazienti non sono consapevoli delle proprie difficoltà e tendono a reagire aggressivamente quando altri o gli eventi stessi gliele fanno notare. In questa fase “neuropsicologica”  posono iniziare disturbi comportamentali che caratterizzano la sucesiva fase “psichiatrica”: per esempio insonnia e alterazione del ciclo sonno-veglia, affaccendamento afinalistico, tendenza a vagabondare in casa e fuori.  In questa fase l’aggressività non è affatto frequente e di solito è solo secondaria ad errori nella gestione dell’accudimento ambientale. Segue la cosiddetta fase “neurologica” in cui le autonomie funzionali sono perdute epossono comparire segni motori di tipo parkinsoniano, crisi epilettiche, frequenti cadute o difficoltà di deglutizione e controllo degli sfinteri.

    Infine si passa nella fase “internistica” in cui il paziente non può lasciare il letto o la carrozzina, non è più autonomo in alcuna funzione e le difficoltà della deglutizione, con le conseguenti polmoniti ab ingestis, e i decubiti aprono la strada ad infezioni sistemiche che portano il paziente a morte.

    Occorre sottolineare che non tutte questa fasi vengono percorse da tutti i malati, in particolare la fase “psichiatrica” quella “neurologica” possono essere molto ben gestibili.

  5. 5. Quanto durerà?

    La malattia di Alzheimer inizia probabilmente 20-30 anni prima dell’insorgere dei sintomi. Si tratta di una lenta degenerazione neuronale che segue ben precise vie e che il cervello riesce a tamponare funzionalmente per molti anni.  I primi sintomi sono solitamente molto sfuggenti ed imputati all’età che avanza, mentre una diagnosi formale di solito è effettuata dopo 2-3 anni di evidenza di malattia.

    Le statistiche mostrano come la malattia duri 7-10 anni, con ampie oscillazioni individuali, e paradossalmente sia più rapida nelle persone più giovani.

  6. 6. Come devo comportarmi?

    Il comportamento del famigliare di fronte alle difficoltà cognitive e comportamentali del paziente è molto importante nella evoluzione della malattia,  ma risente di numerose componenti. Innanzitutto dipende dal vissuto del parente rispetto al paziente e alle sue difficoltà: non bisogna mai dimenticare che il paziente è malato e le manifestazioni della sua malattia sono spesso assurde.

    Inoltre dipende dalle caratteristiche psicologiche del parente e dalle manifestazioni comportasmentasli della malattia. Un modo spesso utile per comprendere quello che accade e prevenire conflitti è ricordare sempre che il paziente “vive nel passato, di cui ha più vividi ricordi che non nel presente”.  Il buon senso di solito aiuta molto più di complessi discorsi teorici, soprattutto in presenza di una adeguata informazione sulla malattia.

    Scopo iniziale della Onlus Alzheimer è stato proprio quello di fornire ai pazienti tutti gli elementi informativi per affrontare la loro realtà quotidiana rivolta alla cura di persone con demenza, offrendo nel contempo uno spazio di discussione ed approfondimento, in cui il sito web è  uno dei mezzi a disposizione.

  7. 7. Cosa posso aspettarmi dai servizi sociali territoriali?

    Ogni ASL della Lombardia ed ogni Comune hanno a disposizione servizi lievemente differenti, ma sulla cui consistenza ed esistenza è necessario informarsi accuratamente.

    Le strutture specialistiche periferiche possono attestare presso l’ASL di riferimento della presenza della malattia per ottenere l’esenzione dal ticket sulle medicine e sugli esami pertinenti la patologia.

    In molti comuni esistono i cosiddetti Centri Diurni, centri che offrono attività ludica, sociale e di intrattenimento durante la giornata, sollevando per qualche ora i famigliari dal carico di pazienti co demenza medio-avanzata.

    Il ricorso al ricovero “di sollievo” o definitivo in RSA è di solito riservato a casi o situazioni selezionati ma non deve essere assolutamente vissuto come una vergognosa extrema ratio, perché il paziente non raramente si adatta bene alla nuova situazione  ed è solitamente meglio curato e nutrito di quanto possa esserlo a domicilio con una badante.

  8. 8. Può avere la pensione?

    Con la documentazione clinica completa attestante la diagnosi, il Medico di Medicina Generale può compilare una richiesta all’INPS per il riconoscimento dell’invalidità per malattia. Se la Commissione Medica giudica l’invalidità del 100%, un eventuale congiunto diretto dipendente può chiedere i privilegi della legge 104 grazie alla quale può ottenere 3 giorni al mese di permesso retribuito per curare il paziente.

  9. 9. Può avere l’assegno di accompagnamento?

    Superato un certo grado di gravità (perlopiù arbitrariamente stabilito sulla base del punteggio al test MMSE) e quando tutte le autonomie sono perdute o compromesse, per cui il paziente non è in grado di vivere autonomamente nel corso della giornata, è possibile richiedere con tutta la documentazione clinica necessaria, il cosiddetto “assegno di accompagnamento”, attualmente di circa 500 euro al mese.

    La richiesta deve essere inoltrata all’INPS dal Medico di Medicina Generale e la Commissione Medica deciderà se assegnarlo o meno.